La pace è la strada

DIAMO VOCE ALLA PACE……

16/03/2006 13:00

In occasione della giornata nazionale per un'informazione e comunicazione di pace, la nostra Emanuela si è recata nella capitale per assistere a questo evento.
La sua testimonianza

L'evento è stato organizzato dalla Provincia di Roma, il Coordinamento Nazionale Enti Locali per la pace e i diritti umani, la Tavola della pace, la Federazione Nazionale Stampa Italiana e UsigRai.
Nella stessa giornata è stato presentato il libro "DIRE, FARE, COMUNICARE LA PACE. COMMENTI,RIFLESSIONI e PROPOSTE PER L'ONU DEI GIOVANI": nata dal lavoro di nove volontarie in Servizio Civile Nazionale. In seguito alla partecipazione all'ONU dei GIOVANI (8-10 settembre 2005) a Terni, conclusasi con la Marcia per la pace Perugia-Assisi, le volontarie hanno raccolto, rielaborato e scritto le riflessioni di quei giorni in un libro: "Le parole possono informare, istruire, persuadere, mentire, confondere, influenzare. Noi non vogliamo essere vittime di una comunicazione strumentale ed è per questo che vogliamo riprenderci spazi di significato e costruire un nuovo vocabolario in cui le parole abbiano un valore più vicino al nostro sentire".
Per informazioni: ARCI SERVIZIO CIVILE ROMA
Paola Santoro e Chiara Vitrano
promoscn@arciserviziocivileroma.net
TEL e FAX 06/41735120

Ritornando all'incontro coi giornalisti, cercherò di fare un excursus sugli argomenti trattati.
INFORMAZIONE? Piuttosto sistema di menzogna globalizzato. Basti pensare al polverone giornalistico creato per legittimare l'invasione dell'Iraq, quindi un'informazione di guerra a effetto terroristico. Lavorare per la pace è un problema politico, e la bugia mediatica odierna potrebbe (uso il condizionale per essere ottimista) essere ancora più devastante in un'eventuale invasione dell'Iran. Qualsiasi guerra non è giustificabile. Il tentativo di trasformare tutto in propaganda non è la strada seria da seguire. La ricerca della verità? Lavorando insieme: le istituzioni + i movimenti + i giornalisti….. Tutti diversi, ma uniti nell'obiettivo comune di cercare di non negare più la verità: come è già avvenuto…. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vi dicono qualcosa? Uccisi entrambi in Somalia il 20 MARZO 1994 mentre facevano il proprio lavoro. E' una vergogna e non possiamo non indignarci e la memoria di questa vicenda deve tirare fuori il giornalismo serio e capace di scavare in profondità, proprio come piaceva ad Ilaria. Ogni giorno molti suoi colleghi, in tutto il mondo e in condizioni difficili, cercano di fare con l'unico obiettivo di ricercare e raccontare la verità. (link = www.ilariaalpi.org, www.ilariaalpi.it)

Ma come conciliare questo desiderio di verità, con una realtà televisiva basata sul pettegolezzo? Si guarda il look dei candidati in gara alle elezioni; invece di dare spazio ad argomenti ben più importanti…… C'è una volontà politica precisa di non fare passare "tot" informazioni: le testimonianze di chi soffre o ha sofferto per la guerra manterrebbero viva la pietà; e ci porterebbero ad indignarci e a SMETTERLA di essere ABITUATI alla guerra! Il nostro distoglierci guardano il "Grande fratello", oltre a darci ideali superficiali ed effimeri, ci fa dimenticare soprattutto cosa significhi CULTURA, INFORMAZIONE e ci fa vedere la falsità nel collaborare assieme per essere un "migliore" da solo. Aderire alla cultura nonviolenta è in primis un "feeling" individuale, che andrà a convergere verso gli altri. " La nonviolenza è la manifestazione esterna di un modo di sentire e di pensare, che è l'amore per tutti. Il nonviolento è il più attivo di tutti, perché non solo vuole vincere dentro di sé l'indifferenza e l'odio, la stanchezza e l'egoismo, ma vuole vincere tutto ciò che colpisce e divide gli uomini, e perciò il nonviolento non accetta questa società……" da Aldo Capitini "Rivoluzione Aperta".

Il bello è che la pace sta facendo convergere operatori di comunicazione, di informazione, di pace; si stanno "capendo" e non solo parlando di tanto in tanto. E questo movimento è importante: la nuova legislatura che si aprirà, qualunque essa sia, non basterà per avere le informazione che vogliamo. Perciò dobbiamo continuare la strada intrapresa in questi anni. Obiettivi comuni da portare avanti:
1)formazione ai ragazzi/e nelle scuole
2)formazione continua per i giornalisti
3)azione politica
4)problema di un cambiamento culturale a tutti i livelli da affrontare
5)sfida della e nella qualità dell'informazione

Ricordiamo che lo scandalo maggiore (uno dei tanti) è uno 0,13 % dei soldi dello stato (e quindi nostri!!!) alla cooperazione: un po' "pochino" per….. Le parole consentono la guerra culturale : l'Imam di Roma colpevolizza i mezzi di comunicazione di definire l'Islam sempre in toni terroristici e fanatici; non è proprio così…. Pace è anche rispetto delle differenze . La conferenza si è conclusa con un "complimenti" agli enti locali, che pur con poche risorse, si impegnano e danno la loro disponibilità per eventi non solo proloco, ma propace! Una sola parola con un significato: SINERGIA!

Vi saluto riportandovi sotto due scritti che mi hanno particolarmente colpito contenuti nel plico di fogli e dépliants che ci hanno consegnato all'entrata. Buona lettura.

Emanuela Casella
Gavci Bologna

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MESSAGGIO PER LA VENTIQUATTR'ORE PER UN'INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DI PACE

Cosa ci spinge a impantanarci continuamente in guerre orribili e devastatrici? C'è chi sostiene che l'istinto guerresco provenga da una parte immodificabile della natura umana: homo homini lupus. Per concludere che le guerre ci sono sempre state e sempre ci saranno. C'è invece chi, più storicista, sostiene che tutto deriva dalla difesa dei grandi interessi industriali internazionali. La gente comune è risaputo, non vuole le guerre, ma i signori della guerra ricattano e costringono i governi a decidere per le guerre. C'è invece chi ritiene che ogni guerra esprima e difenda una questione di identità e di confine nazionale. C'è chi attribuisce al contrario ogni moto guerresco ad una opposizione di religioni e di culture diverse che vogliono il predominio sulle altre. C'è chi pensa più semplicemente che le guerre si facciano perché ci sono le fabbriche di armi: se si fabbricano bombe, granate, mitragliatrici eccetera, poi queste dovranno essere usate, e quindi si troverà sempre un pretesto per adoperarle. Il denaro investito deve essere speso. E' probabile che tutte queste ragioni siano mescolate insieme nella insensata voglia di lotta armata. Fatto sta che le guerre continuano, nonostante ogni pretesa di pacifismo e portano lutti, crudeltà e distruzione. Cosa fare? Naturalmente la domanda se la pongono soprattutto coloro che credono nella non fatalità delle guerre. E ritengono che qualcosa si possa fare per una pace permanente, senza nascondersi dietro il concetto di ineluttabilità del conflitto. Esse costituiscono la maggioranza, anche se non hanno i diritti delle maggioranze. In fatto di guerra sono sempre le minoranze a decidere, anche se poi le maggioranze saranno quelle più esposte. Voglio qui ricordare una teoria che Alberto Moravia aveva elaborato prima di morire e che amava esporre a chi lo stava ad ascoltare. La sua tesi era questa: gli uomini, è vero, sono naturalmente portati alla guerra, come sono portati alle risse e alle aggressioni, alle prevaricazioni e alle predazioni. Ma gli uomini erano pur portati all'incesto in tempi lontani di società tribali. L'incesto è un istinto che gli uomini hanno o per lo meno avevano in comune con gli animali. Gli animali non si fanno scrupolo di accoppiarsi fra padri e figlie, fra madri e figli, sorelle e fratelli, ecc. Gli uomini invece, non per ragioni morali, ma per necessità culturali, come spiega bene Malinoski, hanno creato, in tempi primitivi, il tabù dell'incesto. La proibizione nasce per favorire la circolazione delle idee fra una tribù e l'altra. Insomma sorge da un bisogno di cultura. L'esogamia (proibizione dell'accoppiamento all'interno delle famiglie e quindi delle tribù e incoraggiamento all'accoppiamento con persone di altre tribù anche lontane) ha permesso la nascita di un principio di comunicazione organizzata che in seguito si è chiamata cultura e questo ha permesso agli uomini di svilupparsi e di evolversi. Venendo all'oggi, in tempi di guerre talmente distruttive da rischiare il danneggiamento di chi le scatena oltre che di chi le subisce, in tempi di atomiche che minacciano la vita stessa sul pianeta, è arrivato il momento in cui gli esseri umani si creino un nuovo tabù, altrettanto forte e risoluto di quello sull'incesto. A me sembra che la teoria di Alberto Moravia sia sensata. Perché non cominciare a rifletterci insieme?

Dacia Maraini
10 marzo 2006

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Notizie, non gossip

Una delle esperienze più amare che tocca in sorte a missionari, volontari, operatori di ong, di ritorno in Italia dal Sud del mondo, è accorgersi che, per l'informazione di casa nostra, intere popolazioni, persino alcuni Paesi e molti dei problemi che riguardano i continenti extra-europei semplicemente non esistono. E' un'affermazione pesante, ce ne rendiamo conto. Ma da tempo noi, direttori delle riviste missionarie d'Italia, siano sconcertati e indignati nel constatare la sostanziale indifferenza dei telegiornali verso fatti e problemi che toccano una vasta fetta del mondo. A far notizia sono di solito conflitti e disastri naturali mentre la vita quotidiana della gente che abita nelle "periferie del mondo" non è quasi mai degna di attenzione. Ebbene. Come missionari e missionarie siamo a contatto ogni giorno con la povertà, le carestie, le violazioni dei diritti di molte popolazioni del pianeta, ma anche con la creatività e la freschezza di tanti Paesi. Guardando il Tg, però, è come se tutto questo non contasse: è un altro mondo quello che ci viene raccontato, un mondo fatto di divi dello spettacolo, sfilate di moda e così via. Non sono certo le notizie a mancare. Pensiamo alle guerre (e alle paci) dimenticate: quanto spazio ha avuto nei Tg italiani la fine delle ostilità a Banda Aceh, la provincia secessionista dell'Indonesia, dopo trent'anni di tensioni? E quanto si è parlato della guerra che ancora lacera lo Sri Lanka? Convinti come siamo che l'informazione - un'informazione corretta, partecipe, rispettosa - è il primo passo per una solidarietà autentica, chiediamo a quanti fanno informazione in Italia, ai diversi livelli, un salto di qualità. Ne va di mezzo il futuro della convivenza umana. Nel suo messaggio di fine anno il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha richiamato la centralità di un'informazione a servizio della gente, che abbia per pilastri "pluralismo e imparzialità, diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e consapevole, in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza democratica". E nel mese per la Giornata mondiale della pace, benedetto XVI ammoniva: "L'autentica ricerca della pace deve partire dalla consapevolezza che il problema della verità e della menzogna riguarda ogni uomo e ogni donna, e risulta essere decisivo per un futuro pacifico del nostro paese". Ci rivolgiamo in particolare a quanti fanno televisione e, segnatamente, alle testate Rai. Come utenti del servizio pubblico - per il quale, come tutti, paghiamo il canone - crediamo sia nostro diritto esigere un'informazione aperta al mondo, un'informazione di qualità che non sia relegata negli speciali (a volte anche molto interessanti) in onda in fasce orarie da sonnambuli. E' troppo chiedere "più notizie e meno gossip"? Attualmente la rai non dispone di un corrispondente fisso in ogni continente: colmare questa lacuna ci pare un passo nella direzione giusta, di un'informazione più equilibrata e attenta al mondo. Una richiesta in tal senso è già stata avanzata da tre riviste missionarie (Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia) e da altri enti in occasione della Tavola della pace a Perugia, nel settembre 2005; la Direzione generale Rai ha promesso di aprire sedi Rai in Africa e in India. Ora come Fesmi (Federazione della stampa missionaria) intendiamo mobilitarci perchè sia dato seguito a tale promessa. Ben sapendo che non basta questo per migliorare sic et simpliciter il panorama dell'informazione tivù. C'è chi sostiene che i telespettatori non sono interessati a conoscere le notizie di altri Paesi. La nostra esperienza dice il contrario: molti, in primis i nostri lettori, condividono l'indignazione di cui siamo fatti portavoce. E sarebbero ben felici di ottenere una risposta all'altezza delle loro aspettative.

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Le 42 riviste missionarie della Federazione della stampa missionaria italiana (Fesmi) hanno elaborato questo editoriale e appello affinchè l'informazione italiana sia fatta da più notizie e meno gossip. In particolare si chiede alla Rai, come servizio pubblico, un deciso cambio di rotta.

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